La tutela dei caregiver nel rapporto di lavoro

Spetta al datore di lavoro l’onere di provare le ragioni organizzative che impediscano l’accoglimento della richiesta di trasferimento del lavoratore per assistere un familiare disabile.

Il nuovo anno si apre con due interessanti sentenze della Cassazione civile, sezione lavoro, volte ad analizzare la posizione dei lavoratori che si trovano a dover assistere famigliari o congiunti disabili o non autosufficienti (c.d. caregiver) e la condotta datoriale assunta nei confronti degli stessi in nome di esigenze produttive tecniche e organizzative.

In particolare, la prima pronuncia del 02/01/2024 (Cassazione civile sez. lav., n.47/2024) confermava la sentenza di appello, con cui, in accoglimento del ricorso d’urgenza promosso da un lavoratore, si ordinava alla società di trasferire il dipendente presso la sede di lavoro più vicina al domicilio del familiare portatore di handicap, ritenendo non assolto da parte della datrice di lavoro l’onere probatorio a suo carico, relativo all’esistenza di ragioni tecnico-organizzative e produttive, di particolare rilevanza, necessarie al fine di giustificare il rifiuto al trasferimento richiesto ai sensi dell’art. 33 comma 5, della l. n. 104 del 1992.

In base a detta norma “il lavoratore di cui al comma 3 (che assiste una persona con disabilità in situazione di gravità) ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.

Come precisato dalla Suprema Corte, la disposizione citata va interpretata nel senso che il diritto del lavoratore può essere esercitato, sempreché il posto risulti esistente e vacante, oltre che al momento dell’assunzione, anche nel corso del rapporto di lavoro, deponendo in tal senso il tenore letterale della norma, in coerenza con la funzione solidaristica della disciplina e con le esigenze di tutela e garanzia dei diritti del soggetto portatore di handicap previsti dalla Costituzione e dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata e resa esecutiva con l. n. 18 del 2009 (Cass. n. 6150 del 2019; n. 16298 del 2015; n. 3896 del 2009).

Nel caso di specie, poi, veniva provato in giudizio i) che la datrice di lavoro aveva effettuato nuove assunzioni presso la sede di lavoro richiesta dal dipendente, e che vi fosse quindi la prova della concreta esistenza di posti vacanti, ii) che non assumeva alcun rilievo il fatto denunciato dalla datrice di lavoro,  che i lavoratori fossero assunti con contratto di apprendistato professionalizzante, in quanto nel caso concreto il dipendente svolgeva mansioni fungibili con centinaia di colleghi e la sua posizione lavorativa poteva essere coperta anche da apprendisti abilitati, non essendo in possesso di un Know how specifico, iii) e infine che alcuni apprendisti della sede “ambita” avevano perfino chiesto il trasferimento sulla sede di provenienza del lavoratore presso la quale, anche, si stava assumendo.

L’orientamento della Suprema Corte si pone nel solco del quadro normativo nazionale e sovranazionale nel tentativo di bilanciare le esigenze datoriali e quelle del lavoratore, che sia anche caregiver familiare, entrambe meritevoli di tutela, valorizzando le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile ogni volta che le ragioni tecniche, organizzative e produttive prospettate non risultino effettive e comunque insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte.

Del resto come argomentato l’efficacia della tutela della persona con disabilità si realizza anche mediante la regolamentazione del contratto di lavoro in cui è parte il familiare della persona tutelata, in quanto il riconoscimento di diritti in capo al lavoratore è posto in funzione del diritto del congiunto con disabilità alle immutate condizioni di assistenza (v. Cass. n. 24015 del 2017, par. 26).

In quest’ottica va letta la seconda ordinanza, con la quale attraverso un’articolata e dettagliata motivazione la Corte di Cassazione sospendeva il processo e rinviava, in via pregiudiziale, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per la trattazione di diverse questioni concernenti la tutela del caregiver familiare contro le discriminazioni (Cass. civ., sez lav., ordinanza n. 1788 del 17/01/2024).

Il caso riguarda l’azione promossa da una lavoratrice caregiver del figlio minore, convivente e gravemente disabile in quanto invalido al 100% (c.d. caregiver familiare), per chiedere l’accertamento del carattere discriminatorio del comportamento tenuto nei suoi riguardi dalla datrice di lavoro, nonché la condanna di quest’ultima a rimuovere la discriminazione attuata, assegnandola stabilmente ad un turno fisso dalle 8,30 alle 15,00 (o, comunque, compatibile con le esigenze del detto figlio), nonché al conseguente risarcimento del danno.

In particolare, viene sottoposto al vaglio dei Giudici comunitari se il diritto dell’Unione europea debba interpretarsi, eventualmente anche in base alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, nel senso che sussista la legittimazione del caregiver familiare di minore gravemente disabile (il quale deduca di aver subito una discriminazione indiretta in ambito lavorativo come conseguenza dell’attività assistenziale prestata) ad azionare la tutela antidiscriminatoria che sarebbe riconosciuta al disabile dalla direttiva 2000/78/Ce del Consiglio del 27 novembre 2000; se, in tal caso, il diritto dell’Unione Europea vada interpretato, eventualmente anche in base alla predetta Convenzione ONU, nel senso che gravi sul datore di lavoro del caregiver l’obbligo di adottare i cd. ragionevoli accomodamenti anche nei confronti dello stesso, per garantire il principio della parità di trattamento nei confronti degli altri lavoratori, sul modello previsto per i disabili dalla citata Direttiva; da ultimo, quale sia l’ambito soggettivo dei caregiver familiari secondo il diritto dell’Unione Europea, anche in base alla Convenzione ONU.

Nel prossimo contributo affronteremo nel dettaglio il percorso argomentativo della Corte di Cassazione e l’evoluzione dell’interpretazione delle norme in funzione dell’efficacia reale e concreta della tutela della persona con disabilità.

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