Recesso “libero” dalle società aventi durata statutaria “superiore alla vita umana”

di Michele Brunetta

La recente sentenza dd. 7 gennaio 2022 del Tribunale di Savona ha confermato la legittimità del recesso ad nutum – ovvero la facoltà del socio di sciogliersi a piacimento dal vincolo sociale – da parte del socio di società di persone (Società semplice, S.n.c. e Società in accomandita semplice) aventi una durata statutaria superiore alla vita umana (ad esempio, durata fissata all’anno 2150), fondando le proprie argomentazioni sul disposto dell’art. ex art. 2285 c.c., che legittima il recesso quando la società «è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci».

A lungo la giurisprudenza maggioritaria aveva ritenuto tale norma, prevista per le sole società di persone, applicabile analogicamente alle società di capitali, per le quali il codice civile (artt. 2437, co. 3 e 2473, co. 2, rispettivamente in tema di S.p.A. e di S.r.l.) contempla il recesso ad nutum solamente nell’ipotesi di società contratta a tempo indeterminato, e non invece qualora lo statuto preveda una durata superiore alla vita umana.

Numerose sentenze avevano infatti ravvisato nella previsione statutaria “eccessivamente lunga” della durata della società un espediente volto ad impedire il recesso libero del socio (non essendo la società formalmente contratta a tempo indeterminato, gli artt. 2437, co. 3 e 2473, co. 2 c.c. risultano infatti inapplicabili), e ritenuto dunque che anche in caso di durata della società “superiore alla vita umana” debba essere legittimato il recesso libero del socio, pena il pregiudicare il suo diritto al disinvestimento.Gli arresti giurisprudenziali più recenti (cfr. in tal senso Trib. Milano, 25 marzo 2021, nonché Cass., 21 febbraio 2020) si stanno per contro consolidando nel senso di interpretare restrittivamente le norme in tema di recesso ad nutum dalle società di capitali, e segnatamente di ritenere non assimilabili le ipotesi della società avente una “durata lunga” e della società contratta a tempo indeterminato, nonché di escludere l’applicabilità analogica dell’art. 2285 c.c. alle società di capitali.

Le argomentazioni a sostegno di tale orientamento sono molteplici, venendo valorizzati in particolare:
(i) la diversa natura delle società di capitali, il cui orizzonte temporale di durata deve essere ricollegato non tanto alla durata della vita umana (il parametro della durata “superiore alla vita umana”, al netto dei casi di scuola, è peraltro soggettivo ed è destinato ad essere rimesso caso per caso all’interprete), quanto al progetto imprenditoriale che ne è l’oggetto;
(ii) l’esigenza di tutelare l’interesse dei creditori sociali al mantenimento dell’integrità del patrimonio – non ravvisabile invece nelle società di persone, ove i creditori della società possono contare anche sui patrimonio personali del soci illimitatamente responsabili.Le implicazioni del consolidamento del predetto orientamento sono evidenti, e ne dovranno tenere conto non solo i soci in fase di costituzione, all’atto di indicare nello statuto la durata della società, ma soprattutto gli investitori in procinto di acquistare partecipazioni – specie di società a ristretta base sociale, o di difficile circolazione – poiché il “giro di vite” impresso all’esercizio del recesso ad nutum nelle società di capitali rischia di rendere l’investitore inconsapevole “facile prigioniero” della compagine, essendone legittimata l’exit solamente al ricorrere delle ipotesi espressamente previste dalla legge o dallo statuto.

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