Com’è sanzionata l’inosservanza delle prescrizioni anti COVID – 19?

[vc_row css=”.vc_custom_1585653980579{padding: 7% !important;}”][vc_column][vc_column_text]di Andrea Gnecchi

Con il DL 19/2020 il governo è intervenuto sul tema delle sanzioni conseguenti alla violazione delle numerose disposizioni con cui sono state emanate dal Governo varie (e spesso contraddittorie) misure volte ad arginare il diffondersi del virus covid-19. Con il decreto si è voluto armonizzare la disciplina dell’emergenza, delineando un nuovo assetto normativo, basato su seguenti principi cardine:

  • Estensione della misura di contenimento all’intero territorio nazionale (viene meno la distinzione tra zone rosse e non introdotta con il DL 6/2020);
  • Carattere tassativo delle misure al fine di evitare un vulnus di legge, posto che il DPCM, strumento con cui state introdotte le varie prescrizioni, è un atto amministrativo che non ha forza di legge e, pertanto, è impugnabile dinnanzi al TAR (un cittadino che si è visto irrogare una sanzione amministrativa o penale, che preveda anche l’arresto, avrebbe potuto sollevare questione di legittimità costituzionale su uno strumento che, a parere di chi scrive, è del tutto costituzionalmente errato);
  • Adeguatezza e proporzionalità al rischio della misura con durata prestabilita e limitata nel tempo (max 30 gg reiterabili fino al 31 luglio);
  • Competenza primaria dello Stato nell’adozione delle misure: devono essere adottate con decreto del Consiglio dei Ministri; competenza eccezionale delle regioni e solo nelle more dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri;
  • Divieto per i sindaci di adottare ordinanza urgenti volte a fronteggiare l’emergenza;
  • Nuova disciplina sanzionatorio per l’inosservanza delle misure.

 

Prima del 26 marzo 2020

La mancata osservanza delle misure di contenimento del contagio era disciplinata dall’art. 3, comma 4, d. l. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, che richiamava espressamente (quoad poenam) l’art. 650 c.p., secondo cui è punita la condotta di chiunque non osservi un provvedimento  legalmente dato dall’Autorità competente per ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o d’igiene (elencazione tassativa) con la pena dell’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

Trattandosi di reato contravvenzionale, punito alternativamente con l’arresto o con l’ammenda, è applicabile l’istituto dell’oblazione discrezionale di cui all’art 162 bis c.p., che consente di estinguere il reato versando un importo pari alla metà del massimo della pena pecuniaria (quindi 103 euro) oltre alle spese del procedimento (poche decine di Euro).

Si badi però, che non si tratta di alcun automatismo. Infatti, la possibilità di estinguere il reato con il pagamento di una somma pressoché simbolica va richiesta al Giudice che potrebbe anche respingere la domanda, avuto riguardo della gravità del fatto

Non è dato sapere perchè nel decreto non venga richiamato il reato previsto dall’art. 260, R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 (cd. Testo unico delle leggi sanitarie), che punisce con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da lire 40.000 a 800.000 la condotta di “chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo, aggravato se il fatto è commesso da persona che esercita una professione o un’arte sanitaria.

Si tratta indubbiamente di una norma incriminatrice più confacente al caso in esame, ovvero, “l’inosservanza delle misure di contenimento del coronavirus”.

Forse perché il reato non è oblabile, essendo previste pena pecuniaria e detentiva in via cumulativa?

 

La situazione dal 26 marzo 2020

  • Depenalizzazione: la mancata osservanza delle misure di contenimento del contagio è ora punita come illecito amministrativo (art. 4/1 DL 19/20), con espressa abrogazione del previgente regime sanzionatorio contenuto nell’art. 3, comma 4, d. l. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, con richiamo espresso all’art. 650 c.p..
  • la mancata osservanza della quarantena per soggetti in quarantena o positivi al virus è una condotta penalmente rilevante: viene introdotta una nuova e specifica fattispecie di reato.

Come già anticipato, al fine di armonizzare la disciplina e coordinare i vari provvedimenti emessi dallo Stato e dai Presidenti delle Regioni (e delle Province autonome), viene introdotto un articolato e coordinato sistema sanzionatorio che si può così sintetizzare:

Il D.L., all’art 1 comma 2, introduce un elenco tassativo di misure che possono essere adottate per contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus, tra cui:

  • limitazioni relativi a circolazione delle persone (ad es. chi si allontana dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni),
  • chiusura al pubblicodi strade urbane, parchi, aree gioco, ville e giardini pubblici o altri spazi pubblici;
  • limitazioni o divieto di allontanamento e di ingresso in determinate areepartecipi a riunioni o degli assembramenti in luoghi pubblici o aperti al pubblico;
  • limitazione o sospensione delle attività ludiche, ricreative, sportive e motorie svolte all’aperto o in luoghi aperti al pubblico;
  • sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche delle scuole di ogni ordine e grado;

Viene poi specificato che i vari provvedimenti sono adottati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) su proposta del Ministro della salute e sentiti i vari Ministri competenti per materia nonché i presidenti delle regioni interessate.

Il Decreto legge fa salvi gli effetti prodotti e gli atti adottati sulla base dei decreti e delle ordinanze emanati ai sensi del decreto-legge23 febbraio 2020, n. 6 (e relativa legge di conversione).

Tutte le violazioni delle misure di contenimento da contagio sono sanzionate in via amministrativa “salvo che il fatto costituisca reato”.

A tal proposito viene specificato chenon si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità”, ma:

  1. la contravvenzione prevista dell’art. 260 TULS in caso di violazione del “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus” (art 1 comma 2 lett e) . Contestualmente vengono aumentate le pene (art 4 comma 7)
  2.  salvo che ricorrano i presupposti del delitto di epidemia colposa o dolosa (artt. 438 e 452 c.p.).

 

Le sanzioni

Per il trasgressorea piedi” è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 400 a 3000 euro, raddoppiata in caso di reiterazione; in caso di trasgressione con uso di un veicolo (anche bicicletta) la sanzione è aumentata fino a un terzo (scelta legislativa assai discutibile: perché dovrebbe essere più grave uno spostamento ingiustificato in bici piuttosto che quello a piedi, dove è più elevato il rischio di contatto con altri?)

Invece, per la violazione di misure di contenimento relative ad attività commerciali, professionali e d’impresa, è prevista l’ulteriore sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni (30 giorni per reiterazione), salvo applicazione cautelare, da parte dell’autorità procedente, della chiusura immediata e provvisoria della durata di massimo 5 giorni (N.B.: l’art 108 del DL 18/20202 “Cura Italia prevede che “in via del tutto eccezionale e transitoria, la somma di cui all’art. 202, comma 2 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, dall’entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 maggio 2020, è ridotta del 30% se il pagamento è effettuato entro 30 giorni dalla contestazione o notificazione della violazione. La misura prevista dal periodo precedente può essere estesa con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri qualora siano previsti ulteriori termini di durata delle misure restrittive”. Dunque, alla luce dell’espresso richiamo fatto dall’art 4 del DL 19/2020 all’art 202 del CDS, è ragionevole sostenere che anche per la “sanzione amministrativa coronavirus”, fino al 31 maggio, il termine per il pagamento con ulteriore riduzione del 30%  è di 30 giorni.

 

Accertamento della violazione

Per quanto riguarda l’accertamento delle violazioni, per espressa previsione dell’ art 4 comma 3 DL, si applica la disciplina generale di cui alla l. n. 689/1981.

Poiché viene fatto espresso richiamo alla disciplina introdotta dall’art. 103 d.l. n. 18/2020, i termini relativi al procedimento amministrativo inizieranno a decorrere dal 15/4

La competenza ad irrogare le sanzioni per le violazioni delle misure di cui all’art. 2, co. 1, disposte con DPCM., viene attribuita al Prefetto / Commissario del Governo; quella ad irrogare le sanzioni per le misure disposte ai sensi dell’art. 3 dalle regioni viene invece attribuita alle regioni stesse.

 

NUOVO REATO art. 2, co. 1 lett. e DL 19/20 sanzionato con l’art 260 TULS

Chi risulta positivo al virus o in quarantena e viola il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione è punito (salvo che il fatto costituisca delitto di epidemia) con la pena (innalzata dallo dal medesimo DL) del reato previsto dall’art. 260 Testo unico delle leggi sanitarie TULS: l’arresto da 3 a 18 mesi e l’ammenda da 500 a 5.000 euro (art. 2, co. 1 lett. e DL 19/20);

Attenzione: è un reato di pericolo astratto. Quindi, ai fini della configurabilità del reato contravvenzionale (punito anche a titolo di colpa) è sufficiente l’allontanamento da casa, mentre non è necessaria che quanto abbia concretamente causato danno (ciò un contagio)

Ed infatti, dovesse esservi la prova che l’allontanamento ha cagionato il contagio di una o più persone (e quindi la possibilità di una ulteriore propagazione della malattia rispetto a un numero indeterminato di persone) ricorrerà il delitto di epidemia (colposa o dolosa).

Per quanto concerne il delitto di epidemia, è senz’altro configurabile il tentativo qualora si sia avuta diffusione di germi patogeni senza che sia derivata l’epidemia, o se il contagio si sia arrestato a pochi casi. L’idoneità degli atti compiuti deve essere valutata sia in relazione alla qualità dei germi diffusi sia alle modalità della diffusione (Antolisei, 31; Battaglini, Bruno, 559; Erra, 48; Manzini, 399).

 

Cosa succede ora con le violazioni commesse prima del 16 marzo?

Com’è noto, il principio di irretroattività opera anche per gli illeciti amministrativi (punitivi). Questo avrebbe dunque impedito l’applicazione delle sanzioni del nuovo illecito amministrativo ai fatti commessi prima della sua introduzione.

Ed infatti, ciò deve ritenersi pacifico, non solo per quanto disposto dall’art. 1 della l. n. 689/1981, (“Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione”) ma ancor più per quanto affermato dalla Corte costituzionale (sent. nn. 196/2010 e 223/2018), che ha esteso la garanzia costituzionale del principio di irretroattività, di cui all’art. 25, co. 2 Cost. e all’art. 117, co. 1 Cost., in rapporto all’art. 7 Cedu, alle disposizioni che introducono (o inaspriscono) sanzioni amministrative di carattere afflittivo-punitivo, come quella in esame

Orbene, per evitare il collasso del sistema giudiziari (si parla di 100.000 denunce presentate in due settimane) ma anche quello di non lasciare impuniti gli autori delle violazioni, il legislatore ha previsto, analogamente a quanto fatto in occasione della depenalizzazione attuata con il decreto legislativo 8/2016, una norma transitoria, secondo cui: “le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni degli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507”.

Pertanto, ai denunciati per il reato di cui all’art 3 comma 4 DL 6/2020 (che richiamava (quoad poenam) l’art 650 c.p., verrà applicato il nuovo illecito amministrativo.

Il richiamo degli artt. 101 e 102 della legge di depenalizzazione del 1999 è operato ai fini della disciplina della trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente. Di conseguenza, i procedimento penale già avviati dovranno essere archiviati e gli atti dell’accertamento trasmessi dalla Procura della Repubblica al Prefetto / Commissario del Governo affinchè vengano applicate le sanzioni  amministrative, ridotte della metà (quindi sanzione in misura fissa di Euro 200,00)

Tuttavia, si pone un problema.

La disciplina dell’art. 4, co. 8 d.l. n. 19/2020, ovvero l’applicazione retroattiva dell’illecito amministrativo è compatibile con il principio di irretroattività di cui all’art. 25, co. 2 Cost. a condizione che non comporti una punizione più severa di quella applicabile sulla base della legge vigente al tempo del fatto (punizione prevedibile e calcolabile in quel momento).

Nessun problema dunque per la sanzione amministrativa “base” (euro 200 con ulteriore possibilità di pagare in misura ridotta entro 60 gg), mentre il 650 c.p. prevede una ammenda massima di 203 Euro

Parebbe, invece, sussistere un problema di legittimità costituzionale riguardo alle violazioni commesse da commercianti, essendo prevista la sanzione accessoria (di natura punitiva) della chiusura dell’esercizio o dell’attività commerciale/ imprenditoriale.

Quindi, a parere dello scrivente, non potrà essere irrogata la predetta sanzione accessoria in relazione ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 19/2020

 

La dichiarazione mendace

In seguito all’istituzione di zone rosse (dapprima limitate ad alcuni comuni e regioni del Nord Italia, poi a estesa a tutto il territorio nazione) sono stati predisposto da parte del Ministro degli Interni vari moduli per “autocertificare” le ragioni di deroga al vieto di spostamento (e cioè la sussistenza di esigenze lavorative, situazioni di necessità o per motivi di salute).

Si tratta di della autocertificazione prevista dal D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, sub art. Articolo 47, rubricato “Dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà”: il cd. atto di notorietà può infatti avere ad oggetto fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato. La legge prevede controlli in capo alle amministrazioni procedenti, che sono  tenute ad  effettuare  idonei controlli, anche a campione, e in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi, sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive.

Ebbene, anche se nei moduli viene espressamente indicato l’art. 495 c.p. (Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri)  – secondo l’interpretazione di illustri commentatori e di alcune Procure Italiane – tale delitto non sarebbe applicabile al caso in esame.

Ed infatti, l’art 495 c.p. si riferisce esclusivamente dalle false attestazioni aventi ad oggetto l’identità, lo stato od altre qualità della persona, mentre  il soggetto che attesta falsamente una condizione lavorativa o personale (come indicato nel modulo) non rientra nel caso di falsità relativa ad un proprio stato o ad una propria qualità.

Quindi, ad avviso dello scrivente, la fattispecie applicabile è quella delle dichiarazioni mendaci, punita ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia (art. 76 DPR cit.): la norma incriminatrice è dunque l’art 483 c.p., rubricato “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”, che prevede una pena sino a due anni.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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