Il Tribunale di Roma – Sezione specializzata in materia d’impresa (sentenza dd. 30 ottobre 2020, est. Dott. Guido Romano), con richiamo alla precedente pronuncia della Cassazione n. 22567/2015 – ha affermato la piena legittimità della clausola contrattuale con cui le parti avevano pattuito un prezzo simbolico (pari ad 1 euro) ed una futura eventuale integrazione del prezzo, pari al 50% dell’eventuale attivo risultante dal bilancio finale di liquidazione.
Nella prassi commerciale, i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di partecipazioni societarie con valore negativo o prossimo allo zero prevedono spesso l’indicazione di un prezzo simbolico, senza necessariamente venir ricondotti nelle fattispecie di donazione, proprio per assenza dell’elemento essenziale della “liberalità”, ma ben potendo rimanere inquadrati nell’ambito della “corrispettività” a titolo oneroso. Tanto in virtù dei chiari interessi di natura economica che le parti intendono raggiungere attraverso tale tipologia di vendita a prezzo simbolico, quali ad esempio: la liberazione dai propri debiti per il cedente o la possibilità di un risanamento aziendale con realizzazione di futuri utili per il cessionario.
Accanto al prezzo simbolico vengono, parimenti, convenuti termini e modalità di determinazione di eventuali componenti aggiuntive di prezzo la cui maturazione è subordinata al verificarsi di eventi futuri e incerti.
Una simile pattuizione rientra nelle clausole c.d. di earn-out, volte a stabilire il corrispettivo per la cessione, suddividendolo in una parte fissa ed una variabile, parametrata all’andamento della società, quest’ultima da corrispondersi in un momento differito rispetto al trasferimento della proprietà e parametrato alle effettive performance della società target (da verificarsi, ad esempio, sulla base di indicatori tecnici di profittabilità come EBITDA o Margine Operativo Lordo che dir si voglia). Ciò discende dall’esigenza di aggiornare i dati economico-patrimoniali sui quali il buyer ha basato la propria valorizzazione della partecipazione a quelli effettivi alla data del closing o alle successive date di riferimento pattuite per la determinazione dell’earn-out.
Tale prassi contrattuale, di matrice tipicamente anglo-sassone, ben si attaglia anche ai principi sulla determinabilità dettati dall’ordinamento italiano, i cui operatori economici fanno largo ricorso alle clausole di earn-out (ormai pienamente sdoganate anche dalla giurisprudenza) per determinare un prezzo di cessione che tenga conto anche delle future prospettive di crescita della società target.