La Corte di Cassazione, con ordinanza 17 gennaio 2024, n. 1844, intervenendo su uno degli aspetti più controversi della disciplina in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale ex artt. 4 e 24 della L. 223/1991, ha ribadito il principio di diritto, secondo cui – ferma la regola generale di cui al 1° comma dell’art. 5 legge cit., che prevede che “l’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale” nel rispetto dei criteri selettivi concordati coi sindacati o, in mancanza d’accordo sindacale, di quelli legali – “la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore o sede territoriale ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive”, che “siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991”,
Nella predetta comunicazione d’apertura della procedura di riduzione del personale – ha affermato la Suprema Corte – devono essere indicate anche le ragioni per cui il datore di lavoro non ritenga d’ovviare al programmato licenziamento col trasferimento dei lavoratori in esubero in altra unità produttiva, “non potendosi aprioristicamente escludere che il lavoratore, destinatario del provvedimento di trasferimento a seguito del riassetto delle posizion i lavorative in esito alla valutazione comparativa, preferisca una diversa dislocazione alla perdita del posto di lavoro”.
E tutto ciò, al fine di “consentire alle OO.SS. di verificare il nesso fra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità lavorative che l’azienda intenda concretamente espellere”.
La S.C. ha ricordato, poi, che “è onere del datore di lavoro di provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata, ma anche che gli addetti prescelti non svolgessero mansioni fungibili con quelle di dipendenti assegnati ad altri reparti o sedi”.