Gli orientamenti interpretativi sull’aggiornamento del DVR
I diversi orientamenti interpretativi e la posizione assunta dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro in merito all’obbligo di aggiornamento del DVR sul rischio coronavirus ai sensi degli artt. 29 e 271 del D.lgs. n. 81/2008
Un aspetto su cui ci si è interrogati in questa prima fase di emergenza è stata la necessità o meno di inserire le suddette misure all’interno del Documento Unico di Valutazione dei Rischi (DVR) con le severe procedure prescritte dalla normativa sulla valutazione del rischio biologico da contagio.
Sul punto si sono formati diversi orientamenti, i quali fondano la obbligatorietà o meno sulla diversa lettura interpretativa della tipologia di rischio soggetto a valutazione da parte dell’azienda.
Secondo un primo orientamento non sarebbe necessario provvedere ad alcun aggiornamento del DVR in quanto i rischi oggetto di analisi sarebbero solo i rischi professionali (ex art. 2 comma 1 lett. n) e lett.l) D.Lgs. n.81/08), cioè quelli cui è esposto un lavoratore in ragione delle sue mansioni e del suo inserimento nel contesto organizzativo e produttivo aziendale.
Secondo questo primo indirizzo, infatti, anche le norme del T.U n. 81/2008 che si riferiscono espressamente a tutti i rischi (ad es.art.28 sulla Valutazione dei Rischi o art.15 Sulle Misure generali di tutela) fanno riferimento pur sempre a tutti i rischi presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui operano i lavoratori, ovvero ai rischi professionali che siano quindi endogeni all’organizzazione aziendale o comunque collegati all’attività svolta.
Come è noto, infatti, la normativa vigente in materia di lavoro disciplina specifici obblighi datoriali in relazione ad una “esposizione deliberata” ovvero ad una “esposizione potenziale” dei lavoratori ad agenti biologici durante l’attività lavorativa. In tal caso il datore di lavoro ha l’obbligo di effettuare una “valutazione del rischio” ed “elaborare il DVR” e, se del caso, “integrarlo” con quanto previsto dall’art. 271 del D.lgs. n. 81/2008.
Diverso è invece se l’agente biologico, che origina il rischio, non sia riconducibile all’attività del datore di lavoro, ma si concretizzi in una situazione esterna che si può riverberare sui lavoratori all’interno dell’ambiente di lavoro, per effetto di dinamiche esterne non controllabili.
In questa seconda ipotesi il datore di lavoro non sarebbe tenuto al rispetto dei suddetti obblighi in materia di sicurezza, in quanto trattandosi di un rischio non riconducibile all’attività e ai cicli di lavorazione, non avrebbe la possibilità di eliminarlo alla fonte o quantomeno di ridurlo mediante l’attuazione delle più opportune e ragionevoli misure di prevenzione organizzative e procedurali tecnicamente attuabili.
Infatti, se è pur vero che il D. Lgs. n.81/2008 impone di “valutare tutti i rischi” il legislatore ha chiaramente indicato che deve trattarsi di tutti i rischi presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui operano i lavoratori, vale a dire i rischi specifici che sono connessi al contesto strutturale, procedurale e di regole che il datore di lavoro ha concepito e messo in atto per il perseguimento delle proprie finalità produttive e che soggiacciono pertanto al suo diretto controllo.
Del resto, lo stesso art. 271 del D.lgs n. 81/2008, definendo le procedure per la valutazione del rischio biologico, indica come ambito di applicazione tutte quelle attività in cui vi sia un rischio da esposizione ad agenti biologici, di natura professionale, che tenga quindi conto della reale esposizione deliberata agli agenti biologici stessi.
Sempre nel Testo Unico all’art. 271, 4 comma, viene poi analizzata l’ipotesi del c.d. rischio potenziale o aggravato, il quale si riferisce a tutte quelle attività che, pur non comportando la deliberata intenzione di operare con agenti biologici, presentino situazioni di rischio accidentale con conseguente potenziale esposizione dei lavoratori al contatto con gli stessi. Per dette attività elencate esemplificativamente nell’allegato XLIV (es industrie alimentari, agricoltura, attività sanitarie smaltimento rifiuti, etc.) il datore di lavoro può prescindere dall’adozione delle procedure e delle misure specifiche prescritte dalla norma, solo qualora dalla valutazione dei rischi risulti che l’attuazione di tali misure non sia necessaria.
Secondo questa posizione pertanto il rischio biologico da Coronavirus si può considerare rischio professionale solo per gli operatori sanitari, ovvero per coloro che nell’ambito delle mansioni svolte sopportano un incremento del rischio rispetto al resto della popolazione.
Al di fuori di questi ristretti ambiti il rischio biologico da coronavirus costituisce rischio comune al resto della popolazione e obbligherebbe il datore di lavoro nel rispetto dell’art.2087 c.c. ad adottare tutte le misure stabilite dal Ministero e dall’Autorità sanitaria e quelle eventualmente ulteriori nel rispetto delle peculiarità organizzative produttive della singola azienda, ma non all’aggiornamento e integrazione del DVR.
Il datore di lavoro non dovrà per forza stravolgere il proprio normale progetto prevenzionistico in azienda, che conserva la propria distinta natura e funzione, ma dovrà affiancare provvisoriamente le misure governative a quelle ordinarie per la durata della fase di emergenza.
Qualora, dunque, l’attività aziendale non rientri tra quelle che espongono i lavoratori ad un rischio biologico, derivante dalla specificità delle lavorazioni e pertanto non si ravvisi neppure una “esposizione potenziale”, l’Azienza si dovrà limitare ad ottemperare ai provvedimenti della Pubblica Autorità.
In difetto, secondo questa prima prospettazione, si arriverebbe al paradosso che in una situazione emergenziale in cui è in gioco la salute pubblica, il singolo datore di lavoro avvallato dal proprio Medico Competente possa individualmente valutare il rischio, facendo emergere misure di prevenzione non adeguate o, addirittura, diverse da azienda ad azienda.
Un secondo orientamento su suggestione delle raccomandazioni dell’Agenzia Europea per la salute e sicurezza sul lavoro (e in particolare su Covid 19 EUOHCA Guidance for the Workplace) ritiene che la valutazione sui rischi copra tutti i rischi con cui possa entrare in contatto un lavoratore nell’espletamento delle proprie mansioni all’interno e all’esterno dei luoghi di lavoro, anche se derivanti da agenti biologici cui è esposta l’intera popolazione.
Secondo questi autori sarebbe opportuno prudentemente procedere ad aggiornare il DVR con le procedure prescritte dagli artt. 29 e 266 e ss. del D.lgs n. 81/2008.
Le ragioni argomentative a sostegno di questa posizione sono improntate ad un principio di massima precauzione.
Si ritiene, tuttavia, maggiormente coerente con l’impianto normativo il primo indirizzo, peraltro avvallato da alcuni autori e parzialmente dallo stesso Ispettorato Nazionale del Lavoro nei termini che diremo.
Come ben espresso dal Prof. Paolo Pascucci, ordinario di Diritto del lavoro dell’Università degli Studi di Urbino, in un recente articolo “Coronavirus e sicurezza sul lavoro, tra “raccomandazioni” e protocolli. Verso una nuova dimensione del sistema di prevenzione aziendale” in Diritto della Sicurezza sul Lavoro, rivista dell’Osservatorio Olympus, marzo 2020: “Se dunque, il rischio biologico derivante dal coronavirus ben può insinuarsi nelle organizzazioni produttive, è certo che al di là delle ipotesi residuali si tratta di un rischio generico che non nasce dall’organizzazione messa in campo dal datore di lavoro o che necessariamente si manifesta in tale organizzazione” se così non fosse “Si dovrebbe ritenere che qualunque fatto ‘esterno’ che si rifletta sull’azienda divenga un rischio professionale. Fra l’altro – prosegue il Prof. Pascucci- la normativa prevenzionistica di cui al D.Lgs. n. 81/2008 ha natura penale, come tale soggetta a stretta interpretazione, e pertanto, quando essa obbliga a valutare i rischi insiti nell’organizzazione, delle due l’una: o si ritiene che qualunque rischio che si interfacci con l’organizzazione sia un rischio dell’organizzazione, o invece si tengono distinti i veri rischi professionali da tutti gli altri rischi”.
Da ultimo si segnala la posizione intermedia assunta dallo stesso Ispettorato Nazionale del Lavoro che in materia di adempimenti di salute e sicurezza riconducibili all’emergenza coronavirus da adottarsi ad opera delle singole amministrazioni, che compongono l’Ente, ha emanato le seguenti Linee Guida.
Con nota n. 89 del 13.3.2020 rivolta ai Dirigenti e agli Ispettori regionali e interregionali del lavoro, ispirandosi ai principi contenuti nel D.lgs. n. 81/2008 e di massima precauzione, discendenti anche dal precetto contenuto nell’art. 2087 c.c., l’INL suggerisce di redigere – in collaborazione con il Servizio di Prevenzione e Protezione e con il Medico Competente – un piano di intervento o una procedura per un approccio graduale nell’individuazione e nell’attuazione delle misure di prevenzione, basati sul contesto aziendale, sul profilo del lavoratore – o soggetto a questi equiparato – assicurando al personale anche adeguati DPI.
A queste conclusioni l’INL è pervenuto dopo essersi consultato con la Direzione centrale vigilanza, affari legali e contenzioso e l’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
Partendo dalle stesse premesse dell’autorevole dottrina sopracitata, l’Istituto ritiene che nel rispetto del pilastro normativo come norma di chiusura del sistema prevenzionistico di cui all’art. 2087 c.c.- è consigliabile formalizzare l’azione del datore di lavoro con atti che diano conto dell’attenzione posta al problema in termini di misure, comunque adottate ed adottabili dal punto di vista tecnico, organizzativo e procedurale, nonché dei DPI ritenuti necessari, in attuazione delle indicazioni nazionali, regionali e locali delle Istituzioni a ciò preposte.
Per la tracciabilità delle azioni così messe in campo – prosegue l’INL- è altresì opportuno che dette misure, pur non originando dalla classica valutazione del rischio tipica del datore di lavoro, vengano raccolte per costituire un’appendice del DVR a dimostrazione di aver agito al meglio, anche al di là dei precetti specifici del D.lgs. n. 81/2008.
Le argomentazioni su cui si fonda la posizione dell’Ispettorato non sono dissimili dall’orientamento prevalente secondo cui è indubbio che ci si trovi di fronte ad una emergenza da ascriversi nell’ambito del rischio biologico inteso nel senso più ampio del termine, che investe l’intera popolazione indipendentemente dalla specificità del “rischio lavorativo proprio” di ciascuna attività.
In tale ottica, il margine di valutazione e determinazione dei datori di lavoro appare evidentemente limitato all’attuazione attenta e responsabile delle misure che le pubbliche Autorità stanno adottando, assicurando che tutto il personale vi si attenga, regolamentando le attività svolte in una prospettiva di sano ed attivo coinvolgimento consapevole del personale medesimo.
In conclusione si ritiene che l’adozione dei suddetti protocolli da elaborare con l’ausilio di tutti i soggetti citati, per calare nella singola realtà aziendale le misure di prevenzione prescritte dalla Pubblica Autorità, unitamente alla rendicontazione e raccolta delle attività compiute (verbali di riunione del Comitato aziendale, consultazioni e così via) da includersi in un appendice al DVR, possa ritenersi, così come peraltro suggerito dagli organi ispettivi (gli stessi che potrebbero essere deputati in futuro al controllo), misura sufficiente per l’adempimento al dovere di sicurezza che incombe sul datore di lavoro rispetto ad un rischio generale, esterno all’organizzazione aziendale.
Va da sé, che come già detto, se un’impresa operi in settori ove il rischio biologico da contagio sia endogeno, o comunque si profili quale rischio potenziale o aggravato sarà opportuno come sempre procedere ad integrare ed aggiornare il DVR secondo le procedure previste dalla normativa.